Lo scompenso cardiaco è una condizione che in Italia interessa tra l’1 e il 2 per cento della popolazione (circa 1 milione di persone) favorendo 190 mila ricoveri ogni anno, con spesa per il sistema sanitario nazionale in grado di aggirarsi intorno ai 3 miliardi di euro. Si tratta dunque di un problema non solo personale, per moltissimi uomini e donne, quanto anche per l’intera salute pubblica. Non solo: si tratta di un problema che diventerà sempre più grave con il passare degli anni, considerato l’invecchiamento della popolazione e il progresso nel trattamento di alcune malattie cardiovascolari.
Insomma, un contesto non certo idilliaco, soprattutto se a quanto sopra aggiungiamo anche il fatto che lo scompenso cardiaco è “poco conosciuto”, pur essendo la prima causa di morte tra le malattie cardiovascolari nel nostro Paese: la mortalità a 5 anni post-ricovero può infatti giungere fino al 50%.
Fin qui, dicevamo, le cattive notizie. Le buone sono relative a un nuovo farmaco innovativo, composto da sacubitril e valsartan, che può ridurre la mortalità per cause cardiovascolari del 20% rispetto alla terapia di riferimento, andando così a determinare un prolungamento della sopravvivenza di 1-2 anni.
“Siamo di fronte a un cambiamento radicale del nostro approccio al paziente con scompenso cardiaco con il passaggio da un’inibizione a una modulazione neuro-ormonale” – ha affermato in tal proposito Michele Senni, Direttore della Cardiologia 1 dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII’ di Bergamo, secondo cui i risultati sarebbero comunque piuttosto positivi, tanto che il farmaco potrebbe essere indicato per circa un terzo di tutti i pazienti che soffrono di scompenso cardiaco di natura cronica. Frutto della ricerca Novartis, il farmaco è attualmente prodotto in Italia, in uno stabilimento in provincia di Napoli, per poter essere esportato in tutti i mercati mondiali (con l’eccezione di quello USA).